Dipendenza dal gas russo: limiti e opportunità

14 Marzo 2022 | Efficienza Energetica

La Russia potrebbe cessare la fornitura di gas? Quali conseguenze ci sarebbero? Quali opportunità potrebbero aprirsi?

Questi tempi, così difficili, hanno fatto emergere una delle maggiori criticità dell’Italia: la necessità di ricorrere alle importazioni per soddisfare il proprio fabbisogno energetico.

Il problema, comune a molti altri paesi europei, è radicato da tempo, tanto da essere al centro delle discussioni politiche e, ovviamente, dei pensieri di chi, come noi, ha particolarmente a cuore l’uso efficiente ed efficace dell’energia.

Diciamo che questa criticità c’è sempre stata ma che oggi le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

Tutti noi stiamo toccando con mano quanto questa dipendenza ci renda schiavi dell’impennate dei prezzi, attraverso le bollette, la spesa alimentare, i rifornimenti di carburante e così via. Ma in questo momento così drammatico vien persino da chiedersi se, e per quanto, avremo ancora garantiti i nostri rifornimenti energetici.

Anche tu ti sta interrogando sulle sorti del nostro approvvigionamento energetico e sulle conseguenze che avranno sulla qualità della vita? Allora questo articolo ti potrebbe aiutare a fare un po’ di chiarezza.

Qui troverai spiegato, in parole semplici, da dove arriva, e in che modo, l’energia che consumiamo, ma anche quali scenari potrebbero aprirsi a seguito di un eventuale stop della fornitura di gas russo.

Piccola anticipazione: ci potrebbero essere anche dei risvolti positivi. Per saperne di più, mettiti comodo e buona lettura!

Da dove arriva l’energia che consumiamo?

L’approvvigionamento energetico del Paese è costituito per il 40% per il gas naturale, per il 33% dal petrolio e per il 20% dalle fonti energetiche rinnovabili (fonte Relazione Annuale sulla Situazione energetica nazionale anno 2020).

Da notare che, sempre nel 2020, il 73,4% del fabbisogno è stato soddisfatto attraverso le importazioni.

Per quanto riguarda il gas, il 27,8% arriva dall’Algeria, il 9,5% dall’Azerbaijan, il 4,2% dalla Libia, per il 2,9% dal Nord Europa (in particolare da Norvegia e Olanda), il 13,1% dal Qatar ma circa il 40% arriva proprio dai “rubinetti russi, da quando, negli anni Settanta, l’Occidente e l’Italia firmarono i contratti con l’Unione Sovietica per assicurarsi un’alternativa più economica al petrolio mediorientale.

Come arriva il gas che importiamo?

In Italia, il gas arriva in due modi, ovvero tramite i gasdotti e le navi metaniere.

Per quanto riguarda la prima modalità, lo facciamo attraverso il Transmed, il gasdotto che collega Algeria e Italia passando per la Tunisia. Dalla Libia, invece, il gas arriva attraverso le tubature di Greenstream, con approdo all’impianto di Gela.

Dal Nord Europa, invece, il gas arriva attraverso il gasdotto del Transitgas e si collega alla rete nazionale in Piemonte. Per far arrivare il gas dall’Azerbaijan all’Italia sono necessari ben tre gasdotti: il Scp che collega Baku con la Turchia, il Tanap che trasporta il gas fino alla Grecia e il Tap che a sua volta lo trasporta fino alla Puglia.

Infine, il gas russo arriva in Italia tramite tre gasdotti. L’Urengoy-Pomary-Uzhgorod, parte dalla Siberia, passa per l’Ucraina e arriva quasi in Slovacchia. Da lì il gas, con il Transgas, arriva in Austria e viene immesso nel TAG (Trans Austria Gas), che lo trasporta fino l’impianto di Tarvisio, in provincia di Udine e vicino ai confini austriaco e sloveno.

Per nave, invece, il gas deve essere raffreddato fino a diventare liquefatto. Per arrivare al consumatore finale, deve essere rigassificato presso impianti realizzati a terra, oppure in alto mare su strutture offshore. In Italia esistono tre impianti: a Panigaglia, Livorno e Rovigo.

Stop della fornitura di gas russo: quanto impatterebbe sull’Italia?

Negli anni si sono presentati più momenti di tensione proprio a causa delle forniture di gas ma mai si era pensato ad uno stacco totale delle forniture russe all’Europa.

Adesso, invece, rendersi indipendenti dal gas russo è diventata una priorità poiché l’interruzione potrebbe verificarsi da un momento all’altro, sia per volontà politica sia a causa di incidenti militari.

In realtà lo stop della fornitura di gas russo avrebbe effetti diversi per ogni Paese. La Danimarca, il Regno Unito, il Belgio, la Spagna e il Portogallo verrebbero colpiti solo in minima parte. Così come la Francia, che avendo sempre puntato sul nucleare è relativamente dipendente da Mosca. I Paesi dell’Est sono quasi totalmente dipendenti ma importando quantitativi molto più bassi, per cui per loro potrebbe essere meno problematico riconsiderare altre soluzioni, come puntare su carbone e petrolio.

Quindi, chi ci rimette di più? La Germania, che fa affidamento su 43 miliardi di metri cubi provenienti dalla Russia (il 51% del suo import) e l’Italia, che dei complessivi 76 miliardi di metri cubi di gas di consumo, accinge per 29 miliardi di metri cubi, (40% del gas totale che importa) proprio dai rubinetti russi.

Se dovesse presentarsi un’improvvisa interruzione della fornitura di gas russo, per quanto potrebbe andare avanti l’Italia? Circa 8 settimane.

Secondo il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani, però, occorre almeno un anno di tempo prima che i paesi europei riescano a ridurre sensibilmente la loro dipendenza dalle fonti energetiche russe, soprattutto per preparare gli stoccaggi in vista del prossimo inverno.

Cosa può fare l’Italia per assicurarsi maggiore sicurezza energetica?

L’Europa punta ad incrementare l’afflusso di gas trasportato via nave ai rigassificatori europei, per questo, proseguono inarrestabili le missioni diplomatiche con Qatar, Stati Uniti, Nigeria e Algeria.

Ma queste, essendo già legate con contratti di lunga durata ai paesi asiatici, potranno garantirci solamente 10 miliardi metri cubi all’anno e comunque resta il problema dello stoccaggio del gas liquefatto, visto lo scarso numero delle infrastrutture esistenti.

Infatti, la Germania è totalmente priva di rigassificatori, l’Italia ne ha tre e la Spagna, l’unica ad aver davvero investito nel settore, ne ha sei.

Le soluzioni ipotizzate dall’Italia per mitigare l’eventuale scenario catastrofico rappresentato dallo stop delle forniture russe, sono: l’aumento della produzione nazionale per 2 miliardi di metri cubi, il riempimento degli stoccaggi per 1,5 miliardi di metri cubi, incrementare di circa 10 miliardi di metri cubi le produzioni da Algeria e Libia, sfruttare 4,5 miliardi di metri cubi di capacità inutilizzata dai rigassificatori esistenti e installare tre nuovi rigassificatori galleggianti, che potrebbero assicurare 10 miliardi di metri cubi di nuova capacità.

Il premier Mario Draghi ha già annunciato la temporanea riapertura delle centrali a carbone di La Spezia e Monfalcone. Si stima che, sfruttando le sette centrali a carbone a pieno regime, potremmo generare un risparmio di gas di 8 miliardi di metri cubi l’anno, a fronte di 4 miliardi di costi per poterle rimettere in funzione.

In tutto ciò, queste misure straordinarie genereranno fino a 28 milioni di tonnellate in più di CO2, ben l’8% delle emissioni nazionali.

A questo punto probabilmente ti starai chiedendo: e le rinnovabili?

Nei piani è previsto un potenziamento di quest’ultime, fino a realizzare 8GW di energie rinnovabili l’anno, diminuendo così la dipendenza dal gas per 2,5 miliardi di metri cubi.

Ecco quindi una piccola riflessione.

La difficile vicenda che stiamo vivendo ha certamente posto maggiore attenzione sul tema della sicurezza energetica, ovvero sulla necessità di rifornimenti energetici costanti a prezzi sostenibili.

È palese che ricorrendo ad approvvigionamenti fuori confine la nostra sicurezza e la nostra competitività viene compromessa ogni qualvolta si genera un conflitto. Come cita la stessa Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) “Si può affermare che la sicurezza energetica di un paese è tanto più a rischio quanto più alta è la dipendenza energetica e tanto più le importazioni provengono da limitati paesi fornitori con poca stabilità geopolitica. Influente è anche la presenza di adeguate infrastrutture di import-export in grado di rendere l’approvvigionamento rapido, diversificato e affidabile”.

In questo contesto appare altrettanto evidente quanto una concreta spinta agli investimenti in tema di efficienza energetica e rinnovabili possa davvero fare la differenza per renderci più indipendenti e più forti economicamente.

Basti pensare che, con gli attuali prezzi del barile sopra ai 100 $ e del MWh di gas, anch’esso sopra ai 100 €, ogni giorno la Russia potrebbe incassare circa 1 miliardo di dollari con cui finanziare i costi della guerra.

Dunque, se pur indirettamente, noi tutti ci stiamo impoverendo per foraggiare questo abominio.

Le misure straordinarie annunciate da M. Draghi dovrebbero assicurarci una riduzione dai rubinetti russi da 29 miliardi di metri cubi a 14 miliardi, ma i benefici saranno tangibili sul lungo periodo e sappiamo già che comporteranno con sé tonnellate di emissioni inquinanti.

Il tutto si poteva evitare se solo avessimo puntato di più sull’efficienza energetica e le rinnovabili.

Il quadro complessivo è poco rassicurante ma forse, per la prima volta, stiamo veramente prendendo coscienza dell’importanza dell’energia nelle nostre vite e di quanto sia essenziale averla garantita a prezzi sostenibili.

Forse un risvolto positivo c’è, ed è questa ritrovata consapevolezza.

Se anche tu, nel tuo piccolo, vuoi avviare il cambiamento, noi siamo qua.

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