Transizione energetica, sogno o realtà?

11 Marzo 2021 | Efficienza Energetica

Cos’è la transizione energetica? Perché sta assumendo un ruolo centrale? Quali risultati aspettarsi?

Nelle ultime settimane si è sentito un gran parlare di transizione energetica, su quotidiani, telegiornali, web, radio e per la prima volta la questione ha catturato l’interesse di molti, anziché dei pochi addetti al settore.

Il motivo scatenante è stato l’annuncio della nascita del Ministero della Transizione Ecologica (Mite), a sostituzione del Ministero dell’Ambiente e della tutale del territorio e del mare.

Come si legge su minambiente.it, l’ampio ambito di azione del nuovo dicastero, assorbirà tutte le competenze dell’ex Ministero dell’Ambiente, ed avrà un ruolo chiave nel processo della transizione ecologica, soprattutto in merito al settore dell’energia.

Perché il settore dell’energia riveste un ruolo così determinante nel processo della transizione ecologica? Perché si parla di transizione energetica? Quali risultati aspettarsi e in quali tempistiche?

Continua la lettura di questo articolo per saperne di più.

Transizione energetica, contesto e finalità

Per transizione energetica s’intende “il passaggio dall’utilizzo di fonti energetiche non rinnovabili a fonti rinnovabili e fa parte della più estesa transizione verso economie sostenibili attraverso l’uso di energie rinnovabili, l’adozione di tecniche di risparmio energetico e di sviluppo sostenibile (fonte wikipedia.it)”.

Si tratta di un passaggio da una fase di stasi, poco -o affatto – orientata ad uso oculato dell’energia, ad un nuovo equilibrio, rispettoso delle risorse e dell’ambiente.

Insomma, un cambio totale di paradigma, in corso da anni e in diversi paesi, in alcuni casi con risultati particolarmente importanti.

Il Paese più virtuoso? L’Islanda, con un livello di utilizzo di combustibili fossili, in termini di energia lorda, pari al 16%; la più deludente la Lituania, che nell’ultimo anno ha visto un aumento del 10%.

Gli aspetti che incidono maggiormente su questi risultati sono essenzialmente due: le tecnologie impiegate e soprattutto, il livello di motivazione.

Infatti, per alcuni stati membri, gli obiettivi imposti dall’Unione Europea per un’economia più sostenibile e quindi per minori emissioni di gas serra, rappresentano solamente uno dei tanti obblighi a cui adempiere, per altri invece, rappresentano l’opportunità per essere più forti economicamente e più rispettosi dell’ambiente.

In pratica, alcuni rispetto ad altri, sono più motivati a sposare un uso efficiente dell’energia per essere più forti rispetto a futuri aumenti dei costi, più indipendenti dalle importazioni di petrolio e in grado di produrre tanto lavoro virtuoso intrasferibile all’estero.

Tutto ciò nel rispetto dell’ambiente appunto,perché la transizione energetica verso fonti di energia pulita permetterà di preservare, per le generazioni future, l’ambiente come lo conosciamo oggi.

Transizione energetica, l’approccio dell’Italia.

Come abbiamo detto, la transizione energetica rappresenta un cambio di paradigma profondo, pertanto richiede un lungo processo di assimilazione.

Per confrontare i progressi compiuti da 115 Paesi e la relativa prontezza al cambiamento, il World Economic Forum (Forum economico mondiale, senza fini di lucro) ha stilato un indice utile ad evidenziare i progressi di ciascun paese dal 2015 ad oggi.

Ebbene, secondo il report 2020 si evidenziano, in generale, graduali progressi, nonostante la pandemia globale: l’80% dei Paesi ha aumentato il proprio punteggio, tra cui l’Italia, posizionatasi al 26° posto.

Il nostro Paese è riuscito a ridurre la necessità di energia del sistema economico, diminuendo l’utilizzo del carbone e aumentando la diversificazione dell’energia di importazione. Tuttavia, sempre secondo il World Economic Forum, è ancora è poco reattivo nei confronti della transizione energetica: pronta solo al 56%.

Per questo, e per onorare gli obiettivi dell’agenda 2013, Terna (gestore della rete elettrica italiana) ha annunciato l’integrazione degli impianti esistenti con un maggior numero di rinnovabili, così da generare con quest’ultime, fino il 90% del fabbisogno elettrico entro il 2050.

Per far ciò ha previsto un aumento degli investimenti del 22%, ovvero 8,9 miliardi di euro, rispetto al piano presentato a marzo 2020.

Benefici economici della transizione energetica

Secondo un recente studio (a questo link tutte le info), le comunità energetiche potrebbero contribuire all’economia italiana con 13,4 miliardi di € di investimenti in nuova capacità rinnovabile, 2,2, miliardi di € di ricaduta economica positiva sulle imprese italiane attive lungo la filiera delle rinnovabili, 1,1 miliardi di € per le aziende attive nella costruzione e manutenzione di impianti e 19.000 addetti solo diretti su impianti fotovoltaici.

A questi incredibili numeri occorre affiancare quelli relativi alla riduzione della compravendita di energia estera, occorre tenere presente, infatti, che l’Italia oggi spende circa 50 miliardi di euro per approvvigionamento di energia dall’estero.

Transizione energetica, attenzione all’effetto rimbalzo.

Ora che le politiche europee hanno sviluppato un vero piano di sviluppo sostenibile e incentrato sulla transizione energetica, anche attraverso importanti investimenti, cosa potrebbe ostacolare le strategie sulla decarbonizzazione?

Strano a dirsi ma il più grande ostacolo potrebbero essere le strategie stesse.

Un interessantissimo articolo di qualenergia.it pone l’attenzione su uno studio redatto dall’economista Paul Brockway, in merito ai risultati inattesi derivati proprio dall’efficienza energetica in relazione al famoso “paradosso di Jevos”.

Di cosa si tratta? William Stanley Jevons nel 1865 notò che più aumentava l’efficienza delle macchine a vapore, più riuscivano a produrre bruciando meno carbone, ciò nonostante, continuava a crescere l’estrazione di carbone dalle miniere.

Questo perché più le macchine diventavano efficienti e più il loro lavoro costava meno, così che venivano acquistate e applicate in sempre maggiori quantità e settori, finendo per richiedere complessivamente più carbone di prima.

Per lo stesso principio, se oggi una persona migliora l’efficienza energetica dei propri strumenti, può finire per spendere di meno per il comfort dei propri ambienti o per muoversi, ma potrebbe riversare quei risparmi nei consumi di altra tipologia, lasciando comunque la sua impronta climatica.

Lo studio di Brockway afferma che, “facendo una media dei risultati degli studi considerati, è che il rimbalzo globale, post-aumento di efficienza, si mangi il 50% dei previsti cali di emissioni, con punte anche dell’80%, in nazioni come la Cina, che partono da consumi mediamente bassi”.

Come evidenzia ancora Brockway, per produrre strategie davvero efficaci occorre valutare sin da subito gli effetti collaterali e disporre misure utili a compensarli, nel pieno rispetto della circulary economy.

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